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  • 18.07.2018 10:55

    Gli altri siete voi

    Gli altri siamo noi.
    Ma quando mai!
    Prendo le dovute distanze da tale affermazione che può essere solo il titolo di una canzone, per quanto mi riguarda.
    Gli altri, quelli che... calpestano, feriscono, usano, sfruttano a loro piacimento senza un minimo di rimorso.
    Quelli che... Ciao come stai... PUFF, spariti in un soffio, prima di sentire la tua risposta.
    Quelli che... ti travolgono con la forza di un uragano per poi procedere incuranti della tua esistenza.
    Quelli che... parlano delle bugie altrui senza avere memoria delle proprie.
    Che fanno promesse talmente fragili da sfracellarsi al suolo un istante dopo averle pronunciate.
    Che cambiano idea più veloci di un flash.
    Quelli che... vedono i propri difetti indossati da altre persone e li definiscono outfit di cattivo gusto. Paradosso di se stessi.

    Non punto il dito, non sono intollerante, solo maledettamente realista.
    Non giudico, non ho pregiudizi.
    Prendo solo atto:
    "Io non sono gli altri".

    P. S. : e comunque...

    "Keep calm and vivi e lascia vivere e fiori di Bach per tutti". 

          

  • 08.07.2018 14:29

    Addio piacendo

     
     
    Sia fatta la volontà. Di chi? Di coloro i quali non dicono addio apertamente quindi, a Dio piacendo, seguiamo gli eventi del caso e con dolore ci rassegniamo.
    Un'apparente porta socchiusa. L'illusoria attesa di un segnale, una qualsiasi cosa che rompa il silenzio se ne va in fumo come certi messaggi da indiano. Dire addio fa tanto melodramma sembra una parola d'altri tempi e oggigiorno molti preferiscono, sull'onda superficiale esondante dei vari rapporti che si instaurano, defilarsi in maniera soft augurandosi che la tua piena di emozioni si sgonfi, asciughi, prosciughi con il passare del tempo. Se una persona (pensano loro) non è dura di comprendonio capirà, si darà pace.
    Oppure nel loro estremo egoismo non pensano affatto a come starai tu.
    Ma quale storia è mai questa dove un individuo non possa entrare nella vita di un altro, farlo affezionare giorno dopo giorno e uscirne di punto in bianco con due parole buttate lì, senza la fatica di dare troppe spiegazioni, uffa!
     
    Quanta banale approssimazione nel pronunciare parole e frasi di un certo peso specifico: ti voglio bene, sei importante, speciale...dettate dall'impulso del momento come fossero un semplice intercalare così tanto di moda in ogni dove. Eh no, signore e signori, non è così che funziona e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Relazioni che troppo spesso durano da Natale a Santo Stefano, per dire. Non comprendo come sia possibile perdere persone come le foglie. L'usa e getta non fa per me. Eppure il fenomeno è dilagante. Ed ecco che la mia simpatia va tutta agli addii chiari e tondi. Claro que si!
    Sempre meglio l'amara verità delle dolci bugie.Tutto quello zucchero artificiale chè, glicemia levati proprio e infine, ciao core...
    Quanta amarezza e delusione nello scoprire che si è stati il nulla per certa gente. Ti piovono addosso e mentre ti inzuppi senza ombrelli nè filtri, scivolano via come se tu fossi impermeabile. WOW!
                                                  
     
    Nel mio caso, ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi vogliono un bene pazzesco, che mi rimettono in pace con il mondo ed io ricambio con attenzione. Le curo anche se godono di ottima salute, le coltivo, me le tengo vicine e non le semino per strada.
    Forse la colpa è di una società che corre troppo in fretta e tende a bruciare tutto e tutti subito, anche i sentimenti. Un mondo di adolescenti in balia delle loro emozioni incontrollate. Forse dire addio apertamente fa paura perché è pur sempre un piccolo lutto. I distacchi netti sono mancanze inconsce, lasciano un vuoto che fa male. Siano amori o amicizie sono sempre molto dolorosi e difficili da accettare. Dire addio non è da melodramma, la vedo diversamente, in realtà è da coraggiosi. Addio lo si dice anche a denti stretti e con il cuore spaccato a metà non sempre per nostra volontà ma con l'intima consapevolezza che l'altro lo vuole. Deve essere così per il nostro bene e amen.
    Senza nascondersi dietro un ipocrita arrivederci, un banale ciao o un ci sentiamo buttato lì.
    Non sono melodrammatica ma disincantata, che è diverso.
     
    (Ogni riferimento a fatti, cose, persone, cani, gatti ecc. è puramente casuale)
     
     
     
     

  • 22.07.2014 22:07

    Pace. Solo una parola?

    Dovrebbe essere un diritto concreto, la pace. Invece è un concetto astratto dei più complessi, simile a quello di felicità. La parola pace in semantica significa "non-turbamento". E' mai possibile che la specie umana trovi pace in tal senso? Anime troppo complicate siamo, perché sia così. Abbiamo abbattuto il muro del suono, abbiamo poggiato i piedi sul suolo lunare, la scienza medica ha quadruplicato la vita della gente ed esistono ancora Paesi in guerra. Questo fatto fa perdere punti all'intelligenza dell'uomo. Chissà, se fossero gli animali a dominare il mondo, forse, la pace non sarebbe un'illusione. Il mio cane e il mio gatto sono cresciuti insieme, si sentono fratelli, vivono felici, in pace. La razza umana non è poi così intelligente se permette che ci siano ancora vittime innocenti per l'interesse di alcuni potenti.

    Poche righe in rima, nelle quali, in una visione utopica non userò il condizionale: 

    Pace è

    infiniti giorni sulla Terra senza guerra

    è il sorriso ingenuo di un bambino 

    è l'abbraccio sincero di un amico vero

    è amore per la natura passata e futura

    è la mano tesa al diverso per rendere uguale tutto l'universo 

    no distruzione

    no costrizione

    solo immensa comprensione

     

                                                      

     

     

  • 22.07.2014 17:02

    Riflessione sulla (s)fiducia

    Fiducia è: buttati che ti prendo.
    Sfiducia è: se mi butto potrei cadere.
    Rischiare?
    Sempre meglio un paio di ginocchia sbucciate che il rimpianto di non averci provato. Solo così potremmo dire di aver vissuto appieno.
    Comunque, la fiducia bisogna conquistarla e soprattutto mantenerla.
    Come diceva una nota pubblicità "la fiducia è una cosa seria".
    Cammina in equilibrio precario sul filo sottilissimo del dubbio.
    Tanto per ottenerla, un secondo per perderla.

     

                                              

     

     

  • 15.07.2014 20:16

    Accordi e disaccordi: la vita come un pentagramma di note in bianco e nero. Le note siamo noi.

    1. Storie di donne e di uomini in cerca di una melodia che dia un senso alle nostre esistenze. Attimi di musica che battono il ritmo giusto alternati ad altri stonati. Alti e bassi in un susseguirsi di alterazioni che ci fanno retrocedere o andare avanti. La difficoltà di saper scegliere i toni adeguati.
      Viviamo in modo frenetico nell'illusione di battere il tempo. Quando siamo esausti ci sentiamo battuti, abbattuti ed è subito un pentadramma di note dolenti. Troppo spesso ci trasformiamo in note doppie che perdono di vista il loro stato naturale, semplice. Facciamo pause di riflessione per ritrovare l'armonia perduta: un insieme di cuori che uniti come note compongono un unico cuore. Non sempre è possibile, non sempre ci riusciamo. L'errore è porre l'accento sulle pulsazioni sbagliate. E' grave se le vibrazioni non arrivano o sono ormai scarse e non ci sentiamo più all'altezza della situazione. Acceleriamo troppo velocemente per conoscere e conoscersi, mentre invece, dovremmo andare adagio. Camminiamo instancabili per trovare la chiave dell'equilibrio tra righi e spazi, tra accordi e disaccordi. Chi cerca nella musica la vita e chi fa della vita la sua musica. 
    2.  
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  • 25.04.2014 23:13

    Irresistibile passione

    Quella scatola magica la incantava, polarizzava la sua attenzione. Poteva stare delle ore a guardarci dentro. Per fortuna la mamma sapeva dosare la sua sete di curiosità se si trattava di quel marchingegno chiamato televisore. Sandra andava pazza per la televisione, era uno dei suoi svaghi preferiti insieme ai giochi in cortile e pasticciare con i colori sulle pareti di casa. Così piccola, ancora in età prescolare, le piacevano programmi che all'epoca erano definiti di nicchia e sicuramente più adatti ad un pubblico adulto. Adorava cose che i bambini, a rigor di logica, snobbano. C'era una trasmissione che avrebbe guardato anche se avesse avuto il mal di pancia e la febbre alta, non se ne perdeva una visione. La mamma rimaneva basita, non si capacitava del perché sua figlia avesse gusti così strani per una bambina. Sandra era attratta dalla musica e da un genere in particolare: il jazz.

     Il tubo catodico inquadrava il palcoscenico di un night club americano, uomini di colore sotto il fascio di luce dei riflettori suonavano con un trasporto tale che lei ne rimaneva ogni volta ammaliata, immobile, ipnotizzata da quelle figure. Osservava attentamente gli strumenti, avrebbe voluto suonarli lei, ne studiava i minimi particolari. Pareva li facessero parlare improvvisando dialoghi fatti di note. Terminata la trasmissione il suo gioco prediletto era costituito da un semplice elastico da ufficio di gomma colorata: con le mani lo tendeva e con le piccole dita pizzicava le due estremità come fossero corde di contrabbasso sprigionando un suono molto simile a quello del vero strumento. La soddisfazione che provava era grande. L'amore per quella forma di musica fu la colonna sonora della sua vita insieme ad altri generi musicali vicini, come il blues. Forse la sua natura malinconica era tagliata su misura per quel swing tipicamente nostalgico.

    Certi fuochi nascono con noi e li portiamo dentro per sempre, non esistono spiegazioni plausibili. E'così e basta. Chi afferma che la passione brucia e si consuma velocemente si sbaglia. Le vere passioni non muoiono mai.

     
                                                     
     
     
     

  • 02.03.2014 16:54

    S-mascherati

    "Corri facciamo tardi!".
    "Aspetta, mi si è impigliato un tacco in un sampietrino".
    "E dai sbrigati! Mi si sta sciogliendo il trucco sotto la maschera".
    E' martedì grasso, Amelia e Silvia vogliono essere tra le prime ad arrivare al veglione mascherato organizzato dalla loro università. Non sono disposte a perdere nemmeno un momento della serata. Voglia di svagarsi a mille dopo gli ultimi stressanti esami. Affannate e accaldate giungono alla festa. Si guardano attorno eccitate e curiose osservano gli altri ragazzi o, per meglio dire, le maschere degli altri iniziando un toto scommesse su chi vincerà la gara per il travestimento più originale. Bella musica, bella gente, coriandoli in ogni dove, abiti sgargianti, piume, paillettes, un tripudio di colori vistosi e allegria. 
                         
    Amelia si diverte, è una ragazza con una gran voglia di vivere, sognatrice, idealista, ma anche molto realista, in ogni situazione trova sempre il lato ironico. Anche in mezzo a quella confusione festosa le scappa un sorrisetto derisorio. Ricorda i suoi studi sull'antica Roma, su come cittadini liberi e schiavi trascorressero i giorni del Carnevale scambiandosi i ruoli. Una celebrazione pagana dove tutto era concesso ed eccesso. Frenesia incontrollata dei piaceri, orge di cibo, sesso e violenze di ogni genere.
    Momentaneamente assorta in quei pensieri, senza rendersene conto, pronuncia a voce alta un gioco di parole ispiratole dall'argomento in questione, "A Carnevale la carne vale". Una maschera vicino a lei, sentendo la frase, le rivolge la parola: "Salve splendida fanciulla, brava, hai centrato il concetto!". Risvegliata d'improvviso da quella voce suadente, si trova di fronte un giovane uomo avvenente, un gran fisico, con un costume piuttosto banale: la tipica divisa da Diavolo, corna e forcone inclusi.
    "Devi avermi presa per scema o per alticcia, giuro ho bevuto solo una Coca Cola".
    "Al contrario, mi sembri molto sobria, hai capito tutto. E' la ricorrenza che rappresenta la valvola di sfogo ai propri desideri compresi quelli del corpo per superare le proprie frustrazioni, la liberazione temporanea dalle regole e dai tabù. La carne vale, cioè prevale sullo spirito".
    Amelia è attratta da quella persona, emana un fascino luciferino. "Sarà per il vestito", pensa la ragazza ancora beffarda. Non riesce a togliergli gli occhi di dosso, il suo sguardo è magnetico. Si chiama Lucio. 
    "Lucio diminutivo di Lucifero, ti stai prendendo gioco di me, eh! Ok che a Carnevale ogni scherzo vale, però stai esagerando, non credi?". Rimarca Amelia allo sconosciuto scoppiando in una fragorosa risata.
    "No, affatto, è il mio vero nome".
    "E scommetto che ora mi dirai di essere il Diavolo". 
    "Sì, e mi sto divertendo da pazzi".
    "Potresti esserlo, visto che sei bugiardo".
    "E' una contraddizione, visto che sto dicendo la verità".
    "Allora togliti la maschera".
    "Sicura vuoi vedere cosa c'è sotto? Potrebbe non piacerti".
    "Sicurissima".
    "Toglimela tu".
    Amelia cerca di sollevargli la mascherina, con suo grande stupore non si stacca dal volto e quel colore rosso, quelle corna osservate da vicino sono proprio di Lucio.
    Il Diavolo è lì, davanti a lei.
     
    "Siete voi ogni giorno della vostra vita a mettere una maschera. Tu, Amelia, come tutti gli altri vivete nella falsità. Il Carnevale è solo una scusa, è ipocrisia, farsa. Una recita di attori mascherati ("attore" dal latino "hypòcrita").
    Paradossale, eppure sono l'unico che non ha bisogno di indossare maschere".
                   
                   
     
     
     
     
     
                                     
     
     
     
                                                             

  • 13.02.2014 23:04

    Computer in love

     
    La loro storia ebbe inizio con una richiesta di amicizia su uno dei tanti social network. Eve accettò subito, bastò un semplice click. Stava collegata al computer quasi tutto il giorno per motivi di lavoro e la richiesta di Edgar era in mezzo a tante altre. Non si aspettava di essere chiamata in chat all'istante, ma andò proprio così e da quel momento divennero inseparabili amici di chat.
    Ogni occasione era buona per sentirsi anche perché, Edgar, gestiva diversi Blog di musica jazz e Eve era una patita di quel genere. Un feeling travolgente, tanto che, ben presto, si trasformò in qualcosa che andava al di là dell'amicizia. Se appariva un messaggio privato di Edgar, il cuore di Eve sussultava in improvvisi mega byttiti. Era rimasta affascinata dal suo QT. La voce soft di lei faceva letteralmente impazzire Edgar e, spesso, in tono giocoso, le ripeteva che schianto di ragazza fosse, proprio ottimamente assemblata. Quando le conversazioni tra i due diventavano hard, si sprigionavano scintille, rischiando, ogni volta, il cortocircuito. Lei pensava che, come digitava lui, nessuno mai. 
    Un anno di rapporti virtuali intensi ed appaganti li fecero decidere: era giunto il momento per un incontro reale, dal vivo. Nessun impedimento, due internauti senza legami, liberi di muoversi come meglio credevano, non solo nel cyberspace.
    Fissarono l'appuntamento nella città di lei, che poi, non era molto distante da quella di lui. Eccitati all'idea ma anche preoccupati di non piacersi una volta face to face. Per riconoscersi senza indugi, descrissero come si sarebbero vestiti quel giorno. Eve: pantalone nero aderente e camicetta bianca attillata con un bel tacco 12. Edgar: jeans, camicia e giacca nera.
    La sera prima del fatidico incontro chattarono senza risparmiarsi, fino a che, esausti, si salutarono sognanti pensando al tete-à-tete imminente. Edgar le augurò happy dreams. Era necessario che dormissero, è noto, la notte è fatta per rigenerare le energie.
     
    Nessuno dei due si presentò all'appuntamento. Le due sedie al tavolo prenotato al ristorante giapponese rimasero desolatamente vuote. 
    Nel programmarli, avevano dimenticato di spiegargli un piccolo significante particolare: due robot non potranno mai abbracciarsi e sentire il calore della loro pelle, né il sapore dei loro baci. 
    Non potranno mai sostituirsi agli essere umani. 
                                     

     

     

     

     

     

     

  • 24.01.2014 22:46

    L'orgoglio ferito

     
    "Eccoti qua. Una donna fatta. Eppure resti sempre la ragazzina  pronta ad ascoltare gli altri. Disponibile a dare un consiglio se richiesto e puntualmente destinata a essere dimenticata in un angolo da sola, per la precisione, l'angolo a 90°. Fottuti egoisti. Amare riflessioni da buttare a mare insieme a tutte quelle persone che ti usano e poi ti gettano come un kleenex. Se dovessi rinascere fammi priva di sensibilità, Cristo! 
    Valentina, finiscila di piangerti addosso, asciugati gli occhi, soffiati il naso, schiena dritta, testa avanti e via andare. Eh no, non ci casco più, prossima volta farò come le tre scimmiette", si disse in quel monologo interiore tra sé e sé. In fin dei conti non era mai sola. Lei e sé stessa fanno due, se la matematica non inganna. Oppure era schizofrenica e se si fosse recata dallo psichiatra le avrebbe detto: "Ehi, voi due, datevi una calmata". 
    Ennesima batosta e la determinata decisione di badare solo al proprio interesse in futuro. "Basta farmi carico dei guai degli altri: amici, parenti e chi più ne ha... ché, a quello che provo io, nessuno pensa. La ricompensa per i generosi di cuore e di spirito è l'ingratitudine", riflettè. "Che vadano al diavolo un po' tutti e magari ci si trovano pure bene". Decisamente, Valentina, si era svegliata con la luna di traverso. Le andava stretta l'insensibilità di certa gente troppo distante dalla sua natura. Forse la sbagliata era lei, sebbene si sforzasse sempre di scavare nel profondo dell'individuo con il quale aveva a che fare per non confondere la leggerezza con la superficialità. 
    Fortunatamente le bastava pensare al lavoro che faceva e le tornava il sorriso sulla faccia, come uno spicchio di sole. Quell'occupazione era anche la sua grande passione: la pittura, i colori. Quando dipingeva un nuovo quadro era capace di dimenticare l'universo intero, andava in trance, sosteneva lei. Insegnante in una scuola d'arte, amatissima dagli allievi per la sua estrema empatia. Una donna amante del buon gusto che metteva sempre al centro dell'attenzione l'essere. Pur essendo un'esteta, in primis, valutava l'aspetto interiore di cose e persone. Difetti? Tanti. Il più grande: l'orgoglio. Non era tipo da correre dietro a nessuno, anche in amore era così. 
    C'era un'altra passione nella vita di Valentina: Franco. Lo aveva conosciuto ad un vernissage in un modo insolito. Non si erano scorti nemmeno per un istante durante la serata. Giunta l'ora di andarsene, il caso li aveva fatti entrare insieme, loro due soli, in ascensore. Galeotto non  fu il libro bensì una scatola meccanica che si blocca e loro lì, nell'imbarazzo più totale. Fatte le dovute presentazioni e scoperto l'amore reciproco per l'arte, fu facile conversare. Franco le rivelò che anche lui disegnava. Una forma d'arte diversa dalla pittura: vignettista, univa il disegno alla parola. Si scambiarono i numeri di telefono e quando l'ascensore riprese a funzionare ne furono quasi dispiaciuti. 
    Valentina se ne sentì attratta fin da subito. Non era bello ma aveva dei particolari irresistibili per lei in un uomo: sguardo, bocca, tono della voce. Quegli occhi dolci velati di malinconia, quelle labbra ben disegnate, sensuali e quella voce calda, accompagnati da un umorismo delizioso nel raccontare le cose, l'avevano fatta innamorare senza se e senza ma. Un miscuglio d'amore e passione: mente, cuore, sensi che, shakerati, davano vita ad un cocktail altamente infiammabile ed esplosivo. Fare l'amore era perdere la cognizione del tempo, esistevano solo loro due. Il mondo chiuso fuori. Bella storia davvero, la loro. Peccato che "tutte le cose belle durano poco". Non ricordo chi per primo abbia tirato fuori questa frase, forse quell'ottimista di Mister Murphy, lo possino..."Non ci pensare, non ci pensare...", si ripeteva Valentina andando in loop ogni qual volta un minimo particolare le riportava alla mente Franco. Un paio di mesi prima avevano avuto una lite furibonda, dalle loro bocche erano uscite parole come proiettili che li avevano colpiti ferendoli gravemente al cuore. 
    Il motivo della discussione una terza persona amica di Franco che aveva una situazione ingarbugliata con il marito. Questo era ciò che lei sosteneva o che aveva fatto credere all'amico d'infanzia. Franco ne aveva parlato a Valentina e conoscendo la sua bontà d'animo, la saggezza nel risolvere situazioni complesse, le aveva chiesto di parlarle e magari consigliarla. Era stata l'amica stessa a chiedergli quel favore. "Potremmo andare fuori a cena, noi due sole, sai, tra donne ci capiamo al volo". Così gli aveva detto. Valentina non voleva intromettersi, ma per amore di Franco aveva accettato. Sapeva che lui ci teneva tanto a quell'amica anche se, un po' egoisticamente, ne era gelosa. Con aria scherzosa gli aveva risposto: "Ok, mi appunto un paio di consigli sull'orlo del vestito ed esco a cena con lei". 
    La cena ci fu, tre sere dopo e che serata! Una volta a casa se fosse stata uomo si sarebbe scolata di tutto, anche l'ammorbidente per i capi delicati, che di delicato non ricordava nulla in quella chiacchierata. La gran donna le aveva confessato di non essere stata solo un'amica per Franco. Le cose andavano male con il marito, separazione in vista e lei aveva intenzione di riprendersi Franco, voleva che le fosse chiaro. Il giorno dopo, lui, si presentò alla sua porta curioso di sapere come fosse andata. Valentina avrebbe preferito essere lo smemorato di Collegno in quel momento. Non sapeva cosa dire, avrebbe voluto tacere, ma l'orgoglio e la gelosia la fecero tracimare come un fiume in piena. Franco non le credette. Una botta tremenda: impossibile si fidasse più di quella donna che di lei. Così difficile, per lui, capire quanto le facesse male il mettere in dubbio le sue parole? L'orgoglio ferito si trasformò in un mostro accecato dalla rabbia, non ricordava di essersi mai incazzata così tanto nella sua vita.  Gli urlò di andarsene, senza stima tutto è vano, vuoto. Lui uscì sbattendo la porta. Era finita. 
    Eh, l'amore non è mai piano, lineare. Un giorno sei felice e il giorno dopo ti ritrovi su una strada in salita. Ci vuole un buon veicolo con i freni ben funzionanti e il serbatoio pieno di fiducia. 
    Valentina passò settimane nere, colorate solo dalle pennellate sui suoi dipinti e Franco, dal canto suo, non riusciva più a concentrarsi su ciò che faceva. Il caporedattore del quotidiano per il quale lavorava lo aveva anche ammonito e non si trattava di una partita di calcio, c'era in gioco il suo lavoro. Dalla sera della litigata si sentiva uno straccio, soprattutto dopo aver avuto conferma della sincerità di Valentina. Sapeva di amarla, cosa lo tratteneva dal chiamarla? Un difetto comune a tutti e due: l'orgoglio. 
    Chissà se l'orgoglio avrebbe ceduto il passo all'amore, chissà se uno dei due avrebbe fatto il primo passo verso l'altro. 
    "Se sei uomo devi prendere una decisione, in questo stato non puoi continuare a stare. E' arrivato il momento di tirare fuori gli scheletri dall'armadio e di rinchiuderci il mio orgoglio. Devo trovare il modo per riconquistarla", pensò Franco mentre il capo lo guardava storto. 
    Valentina era a casa per malattia, una banale influenza. Alzandosi dal letto sentì una fitta lancinante alla bocca dello stomaco, non era fame, stava pensando a Franco, quello era. "Basta, sto troppo male. E' ora che al muro appenda l'orgoglio, invece che uno dei miei quadri. Ho deciso, lo chiamo al cellulare". Mentre cercava l'apparecchio lasciato in borsa, sentì suonare al campanello d'ingresso. Era la sua collega nonché amica confidente, le disse di andare in camera e di aprire la finestra, quella che dava sull'enorme cartello pubblicitario posto al di là della via. Valentina le rispose se fosse impazzita, ma la collega insistette. Come inebetita si recò nella stanza, spalancò la persiana e vide una nuova pubblicità sul cartellone: raffigurava il viso di Franco, accanto alla bocca una nuvoletta fumetto. Al suo interno c'era scritto: "Valentina, ti amo, perdonami, mi vuoi sposare?". 
    Franco era sotto la finestra, attendeva ansioso la reazione di Valentina. Lei, con i lucciconi agli occhi gli gridò: "Sali! Cosa aspetti ancora lì per strada, mi sembri un palo della luce". 
    E' risaputo, in amore ne uccide più l'orgoglio che la spada. Non sempre, per fortuna.

                                                         

                          

     
     
     
     
     
     
     
     
     

  • 10.01.2014 22:57

    (in)Felice

    Come gli sarà venuto in mente di chiamarmi Gaia. 
     
    Sono stanca di portare questo nome, non corrisponde più al mio stato d'animo. 
     
    Tristana, sarebbe stato più adeguato per come mi sento. I miei malanni di stagione, le influenze con relativa febbre, non si contano più.
     
    Mi raffreddo e mi surriscaldo in continuazione, sono sempre a misurarmi la temperatura.
     
    Saranno gli anni che mi porto addosso, avverto di non avere più l'energia di una volta. Il respiro si è fatto affannoso.
     
    Sono sempre stata troppo generosa e ospitale, ora ne pago le conseguenze.
     
    Quel tipo, poi, che mi definisce non equilibrata, dovrebbe pensare al suo di nome: Lovelock (tirabaci).
     
    I suoi discorsi mi fanno girare le biosfere, quelle gliele tirerei volentieri.
     
    Che io sia "Gaia" è solo pura fantasy, un'ipotesi.
     
    Eh sì, sono il pianeta a Terra. 
     
                                                       
     
     
                                                              
     
                                                
                           
     
     
     
     
                                   
     
     

  • 31.12.2013 16:12

    Parole soltanto parole?

    Un proverbio inglese dice: "A chi più amiamo, meno dire sappiamo". Quando le emozioni dominano, le parole si affievoliscono. Quando non sappiamo dare un nome alle emozioni che proviamo, le parole, possono venire a mancare. Sono importanti, è innegabile. Possiamo anche annegare in un mare di parole. La loro scelta si rivela determinante per comprendere e farsi comprendere. Una singola parola può assumere significati differenti. E' ambigua, doppia, ingannevole. Essenziale è saper vagliare quelle giuste al momento giusto perché parola pronunciata è come una freccia scagliata, non torna indietro. Può trasformarsi in un sasso o in una carezza. Sferzante come una frustata o rassicurante come un abbraccio. Può essere usata come una chiave per entrare nell'altro e capirlo, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, per manipolarlo.

     
    Le parole
    Quelle che vorresti sentirti dire e invece no.
    Che non vorresti sentirti dire e invece sì.
    Quelle mute e quelle aspirate.
    Quelle dolci come caramelle.
    Quelle amare da inghiottire.
    Quelle sciocche, scioccate, scocciate.
    Quelle calde che incendiano i sensi. Da toccare.
    Quelle offese, schiaffeggiate, accartocciate, calpestate, cestinate. 
    Indifferenti, dimenticate. Sprecate. 
    Quelle orecchiabili che non si scordano come note musicali.
    Quelle stridenti come sabbia in bocca.
    Quelle vitali come l'aria che si respira o come aria fritta.
    Le parole come camaleonti che cambiano di colore.

     
    Ho letto una favola un po' di tempo fa: venivano cambiate tutte le parole conosciute sulla faccia della Terra e conseguentemente, il mondo, stravolto da un enorme caos. Pensiamoci bene, la vera rivoluzione sarebbe sostituire le parole o i verbi: "arma" con "ama", considerato che "parola" deriva dal latino "parabola", ma anche "verbum". Un esempio semplice ed efficace per spiegare l'influenza della parola. Anche "emozione" è una parola e significa "smuovere". Le parole hanno il potere di scuotere le emozioni. Capita spesso che siano quest'ultime a prendere il sopravvento. Ecco il motivo per cui dobbiamo essere accorti nel selezionarle e dosarle: una parola mille emozioni.
     
                                          
                                             
     
     
     
     
     
     
     

  • 19.12.2013 22:53

    Filiamo insieme

                       
                                   
    - Mi accompagnerai anche questa volta?
     
    - Puoi starne certo. Tuttavia, dimmi, ne sei sicuro?
     
    - So solo che ho un problema alla vista.
     
    - Non è la prima volta che ti succede, i sintomi li conosci.
     
    - Sì, li conosco bene: inappetenza, insonnia, palpitazioni, euforia... Stavolta, però, ci vedo meno delle altre. Sto un pizzico peggio. 
     
    - Ti darò il mio braccio come sempre e cammineremo insieme.
     
    - Mi chiedo se tu sia sincera con me o piuttosto se lo fai per te stessa.
     
    - Non agisco per egoismo, non potrei. Sono troppo istintiva.
     
    - Ok, ti sei spiegata. E comunque, tendo sempre a giustificarti.
     
    - Sono consapevole del fatto che, lo stato nel quale ti trovi, ti induce a non vedere gli ostacoli. Quindi, ti seguo, pur lasciandoti libero. 
     
    - Ti chiami Follia e sei più saggia di me.
     
    - E tu, sei sempre così dolce... Il tuo nome non ti smentisce: Amore.
     Ora fila, cioè, filiamo. Ti sta aspettando, ci sta aspettando.
     
     
     
     
     
     
     
     
     

  • 10.12.2013 16:11

    L'amore negato

     

    Quanti anni sono trascorsi da quella mattina... Almeno una ventina, pensa Carlotta, mentre si stiracchia sotto la calda trapunta in una pigra domenica mattina di gennaio. La mente vaga incoraggiata dal tepore della coperta, incubatrice di pensieri e finisce per fissarsi su un episodio dell'adolescenza. "Strano, credevo facesse parte della preistoria, ormai. Lorenzo, così si chiamava e ancora si chiamerà così, lo spero per lui, visto che è passato molto tempo, ma avevamo solo tredici anni e quindi ora ne ha trentatré come me. Mah, sarà vero che il primo amore non si scorda mai. Già, perché lui, questo è stato per me. Che ragazzina stupida, ero. Troppo matura di testa per la mia età, non potevo prendere la vita con più leggerezza, eh no, io no. Dovevo fare ragionamenti da donna, mi sentivo ancora troppo piccola per storie d'amore. Sostenevo, con arrogante convinzione, che non era ancora il momento giusto. Maledetta me". Carlotta prova rimpianto per quell'amore non vissuto a pieno, intenso e conflittuale come solo i sentimenti degli adolescenti possono esserlo. Se quella mattina incrociandolo vicino alla scuola si fosse fermata al cenno di lui, chissà, forse la sua vita avrebbe preso una piega diversa. Se avesse accettato di diventare la sua ragazza, come riferitogli in seguito dall'amico di entrambi, chissà. Se lo avesse ascoltato invece di sfuggirgli... Dio, che antipatica era stata. Se, se, se... Di se son piene le fosse, come recita il proverbio. Lei, invece, quei se, ce li aveva tutti sullo stomaco. La sua vita sentimentale da quel momento in avanti era stata come una strada in dissesto: salite, discese, brusche frenate, buche piene di mancanze e delusioni. Al posto delle farfalle le si agitavano i se nella pancia, difficili da digerire. La corteggiavano sempre quelli che a lei non ispiravano niente più di una semplice amicizia. Quando si innamorava, non c'era volta che fosse ricambiata, matematico. Era convinta di essere sotto l'effetto di un sortilegio malefico e sorrideva sarcastica a quel pensiero. Come se, rinunciando al primo amore, il destino contrariato, le avesse negato di incontrarlo per sempre. Possibile non ce ne fosse uno di coloro che la attraevano che ricambiassero? Si sentiva talmente demoralizzata da decidere di dare una stoppata al gioco dell'amore. Anche se, in cuor suo, una particella di speranza di trovare l'uomo giusto c'era sempre. 
     
    E' sera, Carlotta rientra a casa stanchissima dopo una giornata di lavoro intenso come assistente sociale in una comunità di recupero per ragazzi disadattati. E' una missione più che un'occupazione e fatica parecchio nel non lasciarsi coinvolgere dalle storie di quei ragazzi. Richiusa la porta alle sue spalle, tira un sospiro di sollievo. Finalmente può rilassarsi nella sua isola felice, un monolocale da single. E' tardi, le ventidue, vorrebbe andare a letto, ma prima dà un'occhiata alle mail sul computer. Niente di interessante. Si collega a Facebook, è da un po' che non lo fa. Le solite foto dove è stata taggata da non si sa bene chi, link come se piovesse e varie richieste di amicizia. Sta cascando dal sonno e con gli occhi piccoli come due puntini, senza prestare troppa attenzione, accetta le richieste. Si appresta a scollegarsi per andare finalmente a dormire quando, d'improvviso, si apre la chat lasciata online. E' un uomo, le scrive testuali parole: "Dove eravamo rimasti?". Carlotta sgrana gli occhi, legge attentamente il nome e quasi cade dalla sedia: Lorenzo Banni. "Che mi venga un colpo! Sto sognando? No, è proprio lui, il ragazzino delle medie!". E' sorpresa e confusa. In un nanosecondo milioni di sensazioni la travolgono. Lorenzo continua a scrivere: "Ehi, non rispondi? Sei svenuta? Hai ragione, non ti ricorderai certo di me". Carlotta, riprese velocemente le sue facoltà di intendere e di volere, digita sulla tastiera: "Ciao, Lorenzo. Ricordo, sì. E'che... dopo tanti anni... mi hai presa alla sprovvista. Dimmi come stai, dimmi tutto di te...". Le quattro del mattino, Carlotta entra nel suo letto con il cuore leggero e la testa che le scoppia. Ha chattato con Lorenzo tutta la notte, raccontandosi gli ultimi venti anni delle loro vite ed è stato come si fossero incontrati e parlati il giorno prima a scuola. Si sono dati la buonanotte con la promessa di vedersi realmente a breve. Questa volta Carlotta non si sarebbe tirata indietro. Gli Sarebbe andata incontro con la certezza inconsapevole di averlo aspettato per tutto questo tempo. 
     
    Si sveglia tardi, quasi ora di pranzo. Ha il giorno libero e se la prende comoda sotto il piumone. Ripensa al sogno che l'ha accompagnata fino al risveglio: si trova sulla riva del fiume di una città, su una barca, lei è la traghettatrice. Salgono persone finché l'imbarcazione non è al completo, tra queste riconosce Lorenzo. Si guardano negli occhi senza parlare, lui le sorride. Arrivati sull'altra sponda, scendono tutti i passeggeri, compreso Lorenzo. Gli sguardi rivolti verso una nuova città che li aspetta. Carlotta si allontana sul fiume, torna dall'altra parte, nell'altra città. "Che sogno insolito", riflette la ragazza.  Allunga un braccio e accende la radiosveglia sul comodino, la stazione locale sta dando le notizie dell'ultim'ora. Tra le tante ce n'è una che lascia impietrita Carlotta: questa mattina, alle ore otto e trenta, una motocicletta si è scontrata con un'auto sulla strada provinciale per il mare. Il conducente della due ruote è deceduto sul colpo, il suo nome: Lorenzo Banni.
     
    Particolare toccante: in una delle tasche della giacca è stata rinvenuta una fotografia. Ritrae una scolaresca in gita. Un cuore tracciato con un pennarello rosso incornicia una giovinetta sorridente. Sul retro della foto una dedica: alla ragazzina con i capelli rossi, per sempre, nel mio cuore.
                                                              
                                                                              
     
     
     
     
     
     

  • 28.11.2013 18:56

    Elevator shaft

    L'ascensore. Quel "vano" fatto della stessa sostanza dei "Come va?" - "Tutto bene, grazie". Il disagio imbarazzante di un faccia a faccia inevitabile in uno spazio di tempo limitante e limitato (per fortuna). La vita come un ascensore: piani alti, intermedi, bassi, in discesa in salita e viceversa. Tasti illusori: hai la sensazione di avere in mano la situazione, sai a quale piano salirai o scenderai, grazie a loro. Mai tralasciare il fattore imprevedibilità. Un giorno come gli altri premi il tuo solito pulsante per raggiungere il tuo solito piano e inaspettatamente l'ascensore si ferma. Rimani lì, in attesa.  Sei solo e speri si accorgano di te il prima possibile, sei in compagnia e speri sia piacevole e con i nervi ben saldi.
     
    Non sai mai con chi ti capiterà di viaggiare. Una  forzata convivenza nell'angusto abitacolo che per la sopravvivenza ha affinato tattiche di comportamento. Dopo aver salutato in modo sobrio, io scelgo il silenzio, mi è più congeniale e comunque, non mi tiro indietro nel sostenere una conversazione con l'inquilino ciarliero, lo preferisco all'apnea. Non voglio correre il rischio di un'embolia prima dell'apertura delle porte. C'è il tizio che opta per disquisire sulle condizioni climatiche passate, presenti, future e tu speri lo colpisca un fulmine seduta stante. La tecnologia elettronica ha dato una grossa mano, al riguardo. Se hai la fortuna di avere in tasca un cellulare, lo estrai con nonchalance e fissati gli occhi sul display, ti estrani completamente dagli estranei. Finalmente la salvezza, corrispondente allo spalancarsi delle porte. E via, verso la libertà.

    Pensandoci bene, non sempre le vie più semplici, le scorciatoie, si rivelano le migliori.  A meno che tu non abiti in un grattacielo e sarebbe ovviamente una scelta obbligata, molto meglio servirsi delle scale. Faticose in salita, ma con un grande vantaggio: ossigenano il cervello e fanno bene al cuore.
                                                                                                                       
     
     
                                                                                    
     
     
     
     
     
     

  • 22.11.2013 15:42

    Un gioco di coscienza

    "A quale livello sei arrivata?"
     
    "Sogno ad occhi aperti". 
     
    "Attenta ai trabocchetti".
     
    "Tranquilla, sono abile nello schivarli".
     
    "Non esserne così sicura, molti altri ci son cascati".
     
    "Ben detto! Tu sì, sai ragionare. Ho quel difetto che agisco d'impulso. Devo muovermi con cautela ed essere vigile".
     
    "Ti ho dato solo un consiglio, non voglio responsabilità".
     
    "Ascolto la tua voce, ma poi decido in prima persona come procedere. Il gioco lo conduco io".
     
    "In tutta coscienza, parlo per esperienza: so come vanno a finire i giochi se non si è razionali e scrupolosi".
     
    "Facciamo così, mi fermo al livello immaginazione e tu chiudi un occhio sui miei giochi, quelli su cui hai da obiettare".
     
    "Bene, affare fatto. A domani amica mia, a domani anima mia".

     

                                                         

                           

     

     

     

     

     

     

  • 09.11.2013 22:50

    E il fiume va

    Come la vita corre il fiume. Perenne il suo cammino e l'acqua va, senza voltarsi indietro. Un flusso visibile in superficie che nasconde un mondo sotterraneo.

     

    Come la vita, il suo tragitto, non sempre lineare, è variabile. La momentanea apparente tranquillità, d'improvviso, può trasformarsi in tumulto irrequieto. Acque che scorrono placide nel loro rassicurante letto, senza un minimo di preavviso, cambiano repentinamente direzione immettendosi in un altro letto, per poi fluire nuovamente in pace protette dagli argini, compagni in un viaggio parallelo.

     

    Come la vita, il fiume, nel suo getto vitale può raggiungere una forza tale da travolgere tutto ciò che incontra sulla sua strada. Non ha coscienza, non ha sensi di colpa, lui va, inconsapevole.

     

    Di una sola cosa è certo: la meta da raggiungere. La sua corsa sa, che finirà dalla madre di tutte le acque: il mare.
    Instancabile viaggia nella frenesia di raggiungere la foce e fondersi con il mare. Acqua dolce e acqua salata, un po' come la vita, in un abbraccio unificatore liberatorio. Non importa quanto e come avrà viaggiato. Il fango, i detriti, i danni, gli errori commessi lungo il percorso. Il fiume della vita sa, che verrà accolto come un figlio dalla madre che tutto perdona.
    Grazie, ma(d)re. 
               

  • 02.11.2013 17:35

    Occhi negli occhi

    - Come ti senti stamani.
    - Bene, a parte un po' di pallore in volto e i capelli da sistemare.
    - Non intendevo l'aspetto estetico.
    - Ho detto che sto bene.
    - Mhmm...
    - Cosa mhmm...Va tutto bene. 
    - Guardami dritto negli occhi. Lo sai, sono lo specchio dell'anima.
    - Ti sto fissando e ripeto, è tutto ok.
    - A me non la fai, non sembri persuasa. Sono abbastanza lucido per comprendere.
    - Vuoi sapere meglio di me come sto? Tu immagini troppo.
    - E dai, non essere suscettibile! Ti conosco come se fossimo la stessa persona, sembriamo identici anche se tu adoperi la mano destra ed io la sinistra. Per questo ti dico così. E poi hai una luce negli occhi che non mi convince.
    - Parli di luce proprio tu che vivi della mia riflessa.
    - Non cambiare discorso e dimmi la verità, a me puoi dirla, siamo solo tu ed io.
    - Ma quale verità, non ho nulla da riferirti e poi ho fretta mi devo preparare per uscire.
    - Ah già la fretta, bella scusa. Per una volta la superficiale sei tu.
    - Attento non ostinarti. Tutte le cose possono incrinarsi o peggio, rompersi irrimediabilmente in mille pezzi.
    - Mi sembra una minaccia, meglio non insistere questa mattina. Confidenze rimandate.
    - Bravo, vedo che riflettendo hai capito. 
    - Allora buona giornata, mia cara.
    - Buona giornata a te, mio caro specchio. 

     






  • 02.11.2013 17:25

    E' ora

     
    "E' ora".
    "E' ora per cosa?"
    "E' ora e quando è ora, è ora".
    "Sì, va bene, però esistono tanti tipi di ore: per mangiare, dormire, pensare, soffrire, gioire, fare l'amore, scrivere, leggere...Infinite ore."
    "No. Esistono solo tre tipi di ore".
    "Tre tipi?"
    "Sì: l'ora di vivere, di sopravvivere e l'ora di morire".
    "E la tua hai deciso qual è?"
    "Posso scegliere solo tra le prime due.
    Ho deciso che è ora di vivere".
                                                  








  • 29.10.2013 21:40

    L'ultimo appuntamento

     

    Ore 7 e 30
    (Devo passare dalla sarta per ritirare il vestito prima di entrare al lavoro. Domani mi sposo). 

    Ore 17 e 30 
    "Pronto Fabio, è lì da te Luisa? Doveva essere a casa già da un po' e invece niente".
    "No Sara, non è qui".
    "Sono inquieta, di solito è puntualissima".
    "Non preoccuparti, ora la chiamo sul cellulare e poi ti faccio sapere".
    "Va bene, ciao".
     
    (Lo vedo in lontananza, sta arrivando. Ho promesso: non potevo mancare all'ultimo appuntamento).
     
    Ore 18
    "Pronto Fabio, allora? L'hai rintracciata?" 
    "Mezz'ora che provo, mi dà irraggiungibile, inizio a stare in pensiero. Esco, vado a cercarla".
     
    (Mi sudano le mani, mi tremano le gambe se penso a lui, è questo l'effetto che mi fa. Devo essere forte, non è mai facile dire addio).
     
    Ore 19
    "Pronto Sara? L'ho cercata ovunque, ma nulla da fare. Non so più cosa inventarmi, rimarrebbero da chiamare ospedali e polizia, però non voglio pensare al peggio. Manteniamo la calma e aspettiamo".
    "Sì, anche se ho l'ansia alle stelle, hai ragione tu, Fabio, aspettiamo, magari sta già salendo le scale, anche se non è da lei neppure un colpo di telefono".
     
     
    (Si sta avvicinando. Se ci penso sento un brivido lungo la schiena, ma non devo pensare, devo agire: ora o mai più devo trovare il coraggio di lasciare. Una volta per tutte definitivamente per sempre e poi sarò in pace. Ora o mai più, ora o mai più... E' qui: gli vado incontro, mi butto tra le sue braccia). 
     
    Ore 21
    "Pronto, la signora Sara? La mamma di Luisa?"
    "Sono io, chi parla?"
    "E' la polizia. Devo darle una brutta notizia, signora: sua figlia ha avuto un incidente alla stazione ferroviaria, ci dispiace".
     
    Quel treno, Luisa, non voleva perderlo ed era arrivata puntuale all'appuntamento. Il perché di quel gesto lo ha portato via con sé, forse un segreto inconfessabile. Non era il treno della sua vita che stava aspettando, era l'ultimo treno.
                                           
                                 

     








  • 26.10.2013 23:27

    Bloccati dentro una parentesi

                                                
    Per un fortuito caso del destino, oppure no, può accadere di vivere esperienze talmente intense e dense di emozioni da rimanerne intrappolati per sempre. Imprigionati in uno spazio di tempo. Non è più oggi, ma è come se lo fosse. Prigionieri di un momento, bloccati in un attimo.
    Dentro una parentesi: sai che quella parentesi è chiusa, non ci puoi rientrare, sei fuori, puoi guardare solo dall'esterno. Quello che hai vissuto non tornerà.

     

    La vita va avanti, prosegue il suo cammino e tu fai di tutto per seguirla vivendo nel presente, proiettandola nel futuro, ma ecco che torna prepotente quel periodo passato e ti risucchia dentro, in un vortice di ricordi. Impetuosi e impietosi quei ricordi non ti mollano, non ne vogliono sapere di lascarti andare.

     

    Vorresti chiuderli dentro ad un barattolo e dargli un calcio che lo scaraventi il più lontano possibile: impossibile.  Meglio di no, desiderare di dimenticare sarebbe come esigere di cancellare ciò che si è vissuto, come ammettere di non aver vissuto.

     

    E ti rassegni al volere emozionale della tua mente e taci. Accennando un tenue sorriso che sembra una parentesi.

     





  • 23.10.2013 16:15

    Ironia 2.0

    - Ciao, chi sei?
     
    - Ciao, sono una persona e vorrei essere ascoltata.
     
    - Ciao, chi sei?

                                     

     





  • 17.10.2013 21:55

    Mi fido di te

    - Sono pronto. Esco, la mia cena di lavoro.
    - Farai tardi?
    - Non lo so.
    - Mi mancheranno le tue coccole della sera.
    - Vedrò di sbrigarmi.
    - Ti aspetterò sul divano.
    - No. Alla tua ora vai a dormire. 
    - Non posso. Lo sai che se non ci sei non riesco ad addormentarmi, sto sempre con un occhio aperto.
    - Così mi farai sentire in colpa.
    - Non devi esserlo. Mi conosci, è nella mia natura. 
    - Allora ciao e non stare in pensiero per me.
    - Ci proverò, bau.
     

                               

     






  • 16.10.2013 23:53

    Arbeit macht frei

    "Arbeit macht frei"
    Questo lessi sopra l'enorme cancello prima di entrare nella terra dell'oblio dove donne, uomini e bambini di ogni età ed estrazione sociale venivano spogliati del loro essere individui per diventare numeri: "Il lavoro rende liberi". Parole rassicuranti per chi, sventurato, si trovò a leggerle varcando quella soglia. L'orrore li aspettava oltre quel cancello.

    Feci i primi passi curiosa, interessata, non so cosa mi accadde: immediatamente provai una profonda pietà. Era come se mi trovassi all'interno di un cimitero. Le altre persone in visita ebbero la mia stessa sensazione. Ci muovevamo in profondo e ossequioso silenzio nei confronti di quegli esseri sfortunati, vittime innocenti della pazzia.
    Contro la loro volontà, strappate alla vita, si ritrovarono lì, sospese in una non vita.
    Al centro del campo c'era una costruzione con un altissimo camino, sembrava toccare il cielo. Il colore dei mattoni si era trasformato. Il rosso terracotta era mutato in un nero funereo e un tuffo al cuore nell'immaginare il perché di quel colore.
    Tutto taceva. Anche il vento, testimone involontario delle scelleratezze commesse lì. Aveva memoria. Discreto e rispettoso, taceva.
     
      (Dal campo di concentramento di Struthoff, unico campo in terra francese)
                                     
       

                               





  • 15.10.2013 03:00

    Amore evergreen

    Eccola, sta arrivando. Quando mi sfiora provo una vertigine. Io così taciturno, spinoso e talvolta pungente non resisto al tocco delle sue mani. "Attenta", le dico, "Potresti ferirti". Lei mi guarda senza dire una parola e mi ricopre di attenzioni.

    Dicono di me che sono imponente, curioso, autonomo, ma non so vivere senza di lei. E' la mia linfa vitale. Quando bevo troppo si preoccupa ed ha sempre il rimedio giusto per rimettermi in sesto. E' il mio raggio di sole nei momenti bui, sa donarmi il calore di cui ho bisogno. Mi nutro del suo amore.

    Viviamo in simbiosi, riesce a scorgere ogni mio cambiamento e sa rispettare i miei spazi. Fra tanti ha scelto me ed io ne sono stato felicemente sorpreso. Domani le regalerò dei fiori coloratissimi, le piacciono tanto. La osserverò con gioia guardarli stupita. E' un piccolo gesto per ringraziarla di essermi sempre vicino e di prendersi cura di me.

    Lo confesso: sono un cactus fortunato.







  • 13.10.2013 19:37

    Un sogno in volo

    La potenza del sogno. 
    Volare è da sempre uno dei più grandi desideri dell'essere umano in parte realizzato grazie all'ingegneria aerospaziale. Il sogno vero, però, è quello di farlo come gli uccelli liberi di librarsi in cielo con naturalezza. Il segreto sta proprio lì, in quella parola: sogno. Ebbene, in sogno possiamo farlo.
     
    Quante volte, dormendo, ho sognato di volare sopra ad un ricordo indelebile nella mia memoria. Quel sogno ha il nome di un luogo e di una casa dove ho trascorso giorni indimenticabili della mia infanzia. Sogno di volare sopra quel paesaggio campestre e la casa tanto amata.
    E' una sensazione di completa libertà, incredibile come la percepisca concreta: il vento mi solletica la pelle, la luce del sole illumina la visuale, i colori del panorama sottostante, i particolari a me noti, tutti lì, nitidi. Sono parte armonica del tutto.
    Mi soffermo sopra la casa a mattoncini di cotto rosso. Vedo distintamente il cane Pucci accucciato sotto l'ombra del noce secolare, vecchio e stanco, sonnecchia annoiato. Il mandorlo in fiore i cui rami sfiorano la finestra della mia camera, il gatto sopra il muricciolo del pozzo perso ad osservare il volo di una farfalla. Nello stagno, sul retro della casa, le rane gracidano saltando sopra le Ninfee. Vedo volti e sento voci scolpite nella mente. E' un sogno lucido, vivo, sono euforica. Una emozione di pura gioia.
    Lentamente discendo. Cado d'improvviso nel buio. Apro gli occhi, è giorno. Sono dolcemente planata sulla terra, leggera e reale come il mio sogno.
    Mi sento appagata, non ho bisogno di ali di cera.  
     
                                                         










  • 10.10.2013 00:12

    La tigre di cristallo

    Fin da bambina aveva dovuto fare i conti con la sua parte scomoda, così la chiamava. Era, per lei, una condanna che mal sopportava:  la sensibilità. Ne aveva da vendere e lo avrebbe fatto volentieri, visto che questo aspetto della sua personalità la faceva penare parecchio. Le parole, soprattutto, la ferivano. Parole che persone con una pelle più spessa non notavano neppure, Giulia, non riusciva a farsele scivolare di dosso. Le rimanevano appiccicate sull'epidermide come uno schiaffo che lascia l'impronta della mano. Anche le virgole fuori posto la ferivano. Si soffermava a riflettere che forse era permalosa, lo avrebbe preferito e invece no, non era così. Si trattava della sua odiosa, irritante, insistente, ingombrante sensibilità. Avrebbe voluto essere come gli altri, ma proprio non ci riusciva, era più forte di lei. Si sentiva diversa. Le amiche più affezionate la rincuoravano dicendole che era fortunata, la sensibilità è un dono. Nulla da fare, lei non ci credeva. Consapevole  della sofferenza che provava per quella sua dannata condizione. Bastava una parola sgarbata ed era come ricevesse un graffio nell'anima. Si sentiva vulnerabile e insicura. Così la consideravano molte delle persone che la conoscevano. Soprattutto i ragazzi della sua età non apprezzavano questo lato del suo carattere. La sensibilità estrema non è capita se non da chi la possiede. I giovani, in particolare, se ne sono sprovvisti, sanno essere molto crudeli con chi ne dispone. La scambiano per debolezza, mancanza di carattere e tendono a prevaricare i soggetti in questione. Giulia, sapeva di non essere fragile e di possedere una forza interiore insospettabile che già aveva sperimentato. Ogni volta che la sua giovane vita l'aveva messa di fronte a problemi veri, importanti da risolvere, con sua grande meraviglia e di chi le stava attorno, aveva tirato fuori gli artigli e affrontato le difficoltà con grande fermezza e coraggio.
     
    Nuovo anno scolastico, nuova compagna di classe trasferitasi da poco in città. Giulia sente subito un feeling nei confronti di Anna e la cosa è ricambiata. Complice la Prof. di inglese che chiede a Giulia di aiutare nei compiti la nuova arrivata, le due finiscono per frequentarsi assiduamente anche al di fuori dell'ambiente scolastico. In breve tempo diventano amiche inseparabili. Stesso gruppo di amici, stessi interessi. C'è una nota dolente: Anna apprezza Giulia per la sua sensibilità verso gli altri, sempre pronta ad ascoltare più che a parlare, a dare un consiglio disinteressato, a tendere una mano in caso di bisogno, ma non sopporta l'altro lato sensibile di Giulia, quello all'apparenza tanto fragile. Anna, al contrario, è una ragazza forte non si fa intimidire dagli altri, sa controbattere se provocata. Conosce un'altra ragazza che non prova simpatia per Giulia ed inizia un periodo di screzi tra le due amiche del cuore finché un giorno non scoppia il caso: l'amica di Anna racconta in giro le confidenze, molto private, che Giulia aveva fatto ad Anna. Fine dell'amicizia. Giulia non è una santa, su certe cose non ci può passare sopra, fiducia per lei non è solo una parola di sette lettere. Da quel momento le due ragazze si ignorano civilmente. Inutile dire che Giulia soffre per la situazione creatasi, ma troppo orgogliosa per decidere di tornare sui propri passi. No, non tornerà indietro.
     
    Pomeriggi trascorsi a studiare aspettando il sabato per uscire con le amiche in centro, questa la vita di Giulia e anche quel sabato pomeriggio sembra come tutti gli altri. La solita passeggiata sul corso: saluti, sguardi, battute al volo, risate tra amici, la spensieratezza delle anime giovani. Giulia sa che Anna, di recente, sta con un ragazzo e proprio quella sera la nota a passeggio con il tipo. E' ora di rientrare e Giulia si appresta a far ritorno a casa. Inaspettatamente viene fermata da Anna. Le due amiche si parlano guardandosi negli occhi,  si spiegano, decidono di fare pace, si vogliono bene.
    Anna propone  a Giulia di riaccompagnarla a casa con l'auto del suo ragazzo e Giulia accetta, non ci vede nulla di male. Il ragazzo di Anna si presenta e insieme a lui suo cugino. Le due ragazze salgono in auto, sul sedile posteriore. Il ragazzo di Anna al posto di guida e il cugino accanto a lui. Tutto tranquillo.
     
    Durante il percorso, Giulia intuisce che qualcosa non va. Sono particolarmente taciturni i due ragazzi. Pensa al suo maledetto sesto senso lo vorrebbe strozzare gli ha rotto anche troppo le scatole.
    Giunti all'incrocio, vicino casa, Giulia fa cenno al tipo alla guida di accostare con l'auto, è arrivata a destinazione. Il ragazzo non si ferma. Aumenta la velocità, svolta verso la strada che porta in periferia e poi fuori città. E' buio, sono le 20 di un sabato invernale che potrebbe diventare infernale e anche il cuore di Giulia si fa freddo e scuro tutto d'un colpo. Le ragazze hanno capito fin troppo bene le intenzioni dei due.
    Anna, così forte all'apparenza, inizia a piangere disperata, non riesce a fare o dire altro. Giulia sente montare una rabbia intensa che le procura una reazione talmente imprevedibile da cogliere di sorpresa tutti gli altri.
     
    Lei, delicata e fragile,  si trasforma in una tigre: affonda le unghie nelle spalle del guidatore e con tutto il fiato che ha in gola gli urla di fermare quella cazzo di macchina e di tornare indietro. Urla che non se ne starà zitta e dopo il fattaccio racconterà l'accaduto a tutti.
     
    Di colpo il vigliacco rallenta, fa inversione e ingrana la marcia in direzione della città. Giulia lo ha smontato. E' riuscita a fargli cambiare idea. Lei, sì, proprio lei. Il tragitto è silenzioso, nell'abitacolo dell'auto si sente solo il pianto sommesso di Anna.
    Le  due amiche scendono dalla macchina. Giulia, nel richiudere la portiera della vettura dà una sportellata così violenta che sembra la detonazione di una bomba tirata intenzionalmente per distruggere il mezzo e quei due che vi si trovano all'interno.
    Anna è molto scossa e stupita di quanto l'amica si sia rivelata forte in tale circostanza. Le ragazze si abbracciano, Giulia cerca di tranquillizzare l'amica, le dice che per fortuna non è successo nulla, di asciugarsi le lacrime.
     
    Domenica passata sui libri. La concentrazione è andata a farsi fottere, il pensiero di Giulia è costantemente distratto dall'accaduto della sera prima. Chissà Anna come starà. Mentre si sta ponendo tutta una serie di domande sulle condizioni dell'amica, suonano alla porta. Ancora il suo sesto senso: è Anna.
    Stringe tra le mani un pacchetto. Lo porge a Giulia, le dice di aprirlo, è per lei.
    Giulia lo scarta curiosa come una bambina: è un soprammobile di cristallo, ha la forma di una tigre.
    "Sì, Giulia, una tigre di cristallo, questa sei tu. Fragile, preziosa e delicata come un cristallo in superficie. Forte, determinata e coraggiosa come una tigre nel profondo. Ora ho compreso". 
















  • 02.10.2013 15:41

    Scarecrow

    "La valigia è pronta. Non resta che salutare i conoscenti di una vita. Triste, ma inevitabile. E' dura ammettere di non servire più, dopo tanto tempo speso a svolgere il proprio lavoro con passione e dedizione.

     

    Niente e nessuno riusciva a smuovermi dal mio senso del dovere. In qualsiasi condizione climatica ero sempre lì, presente. I turni di giorno mi sono fatto e anche quelli di notte, ligio ai miei compiti. Incurante del caldo e del freddo con indosso la mia singolare e per alcuni, buffa, tuta da lavoro. Orgoglioso di mostrarla, simbolo della mia categoria. E pensare che ai bambini piaceva, sembravo un clown. Ho messo in fuga più di un malintenzionato grazie a quella divisa. 

     

    Ora i tempi sono cambiati, gli anni sono passati e non faccio più paura a nessuno. Mi è arrivato all'orecchio, come un sibilo di vento gelido, che è già pronto il mio sostituto: giovane, efficiente, un po' scostante, sguardo metallico, così dicono. Con un udito e una vista perfetti, requisiti ideali per questo tipo di attività. Una delle maggiori mansioni affidatemi era dissuadere ed ora mi ritrovo a fare il dissuasore di me stesso. Devo persuadermi che ho fatto il mio tempo. E' ora. Sono venuti a prendermi".

     

    Un ultimo sguardo malinconico rivolto verso un mondo che non c'è più: cede il passo alla tecnologia. Anche gli spaventapasseri non sono più quelli di una volta. Forse, non sono loro quelli che dovrebbero andare dal mago di Oz.
     

                                             







  • 28.09.2013 18:46

    Notte e giorno

    Chissà se la notte e il giorno sono stanchi dei loro ruoli. Chissà se hanno mai pensato di scambiarsi di posto per una volta, anche una soltanto, curiosi di contemplare con occhi diversi. Saranno esausti di quelle perenni strette di mano al sopraggiungere dell'aurora e del tramonto per darsi il cambio.
     
    Il giorno potrebbe aver voglia, per una volta, di guardare la luna e le stelle. La notte, desiderare di vedere il sole almeno una volta, una soltanto.
    Si intravedono allo spuntar dell'alba e al calar del sole e le sfumature che riescono a captare l'una dell'altro sembrano stupende anche se certi toni accesi potrebbero apparire eccessivi alla notte così come certi toni scuri sembrare ambigui al giorno.
     
    Ma è un attimo, il tempo tiranno scorre preciso, inesorabile e l'attimo è fuggente. Non possono far altro che immaginare i loro due mondi contrastanti.
    L'attrazione per ciò che non si conosce potrebbe essere la molla per spingerli a sconfinare. Chissà, forse sognano d'incontrarsi e stringersi in un abbraccio avvolgente che non sia soltanto un semplice sfiorarsi delle dita. 
     
                                               







  • 25.09.2013 17:45

    In bianco e nero

    Guardo una foto in bianco e nero:  la trovo affascinante. Il bianco e il nero, il bene e il male, la luce e il buio, l'uomo e la donna. Opposti che coincidono e misteriosamente si intersecano.

     

    Una foto datata in bianco e nero suscita un sentimento: nostalgia. Non può essere a colori la nostalgia, deve vestire in bianco e nero. Ce lo insegnano i maestri della fotografia: certe sensazioni si possono esprimere solo in bianco e nero.

     

    Osservo la foto con attenzione e mi tornano alla mente precisi particolari dell'istante nel quale è stata scattata. Scorrono veloci, come in un film d'autore, fotogrammi di una pellicola in bianco e nero. Ricordo le parole pronunciate nel mettermi in posa, il tono della voce e persino i pensieri che mi passavano per la testa. Sono impressionata. 

     

    La foto in bianco è nero ha, secondo me, la capacità di catturare l'anima. Chi dice che una fotografia è solo un pezzo di carta, un'immagine statica, non ha la "sensibilità" di comprendere che uno scatto fotografico riesce a immortalare l'anima delle persone.
    E l'anima non è forse bianca e nera? Bianca come la carta, nera come l'inchiostro.







  • 21.09.2013 12:25

    Su binari paralleli.

    - Stiamo facendo un bel viaggio. Io e te.
     
    - Sì. Stessa direzione, stesso panorama.
     
    - Scambiamoci un abbraccio.
     
    - Lo vorrei tantissimo, ma non posso.
     
    - Dammi almeno una mano.
     
    - Sì. Una mano nello starti vicino. Dossi e salite fanno meno paura in questo modo.  
     
    - E' bello anche così.
     
    - Sì. Mano nella mano illuminiamo il buio della notte.
     
    - Non possiamo guardarci negli occhi, però.
     
    - Lo facciamo in altri modi.
     
    - Ma quanto durerà.
     
    - Chi può dirlo, forse all'infinito.
     
    - O forse fino alla prossima fermata.
     

                           







  • 19.09.2013 15:18

    Il tassello mancante

    Alla ricerca della tessera mancante come del Sacro Graal. Questo era il chiodo fisso di Luca. Ogni volta che si innamorava pensava: ecco, finalmente il pezzo mancante. Ma l'amore durava giusto il tempo di finire il puzzle nuovo.  Lui, appassionato di enigmistica con la mania per i puzzle, ci aveva riempito casa con quel gioco. Più che un passatempo era un modo per riordinare le idee. Ricercare le tessere da inserire negli incastri era come mettere ordine nella sua testa. Ogni pezzo nello spazio giusto lo faceva sentire meglio. In un certo senso era come se, inconsciamente, ricostruisse sé stesso, la sua vita. Usava quel gioco come un Mantra mentale per ricomporre il suo equilibrio interiore.
     
    L'idea di noi esseri pensanti, pezzi di puzzle, somma delle nostre esperienze è sensata.  Ma come poteva credere, Luca, che l'amore fosse una sorta di puzzle? Che potesse essere contenuto in un gioco del genere? L'amore non ha limiti, l'amore non sta in una scatola. Era per colpa del suo carattere così pignolo con quella ossessione di tenere tutto sotto controllo, anche i sentimenti.
     
    Cercava sempre tessere che fossero conciliabili con lui. Non considerava il fatto degli opposti che si attraggono. Da insegnante di matematica con una mente analitica non dava molta importanza alle emozioni. Si affidava, piuttosto, al calcolo delle probabilità di compatibilità tra caratteri simili. Il suo metodo, però, fino a quel momento si era rivelato un fallimento visto che prendeva una delusione dietro l'altra. Tutte quelle tessere dai diversi colori: se ne sentiva irresistibilmente attirato come da una calamita e ogni volta sperava fosse quella giusta. L'ultima relazione era stata talmente burrascosa da spezzarsi prima ancora che fosse ultimato il puzzle. Mancava solo una tessera.
     
    Da quel momento è passato un anno. Il rompicapo è ancora sulla scrivania dello studio con quell'unico tassello mancante che, Luca, non sa neppure dove sia finito. Stranamente non ne ha comperati altri. 
     
    Si è tuffato in nuovi incontri che lo lasciano ogni volta con l'amaro in bocca. Sta crescendo in lui il dubbio che quello che gli manca non sia l'amore, ma qualcos'altro di molto profondo. Forse è arrivato il momento di riconoscere il non sentirsi a proprio agio con il suo"io". Sarà perchè da bambino la mamma gli aveva sempre negato di giocare con i puzzle per paura che i pezzettini finissero sparpagliati in ogni angolo della casa che, da adulto, cerca instancabilmente di mettere insieme in maniera ordinatamente organizzata pensieri, parole e legami vari come se la sua vita fosse un puzzle da completare meticolosamente.
     
    Ha chiesto consiglio all'amico psicologo, il quale gli ha esposto la sua visione: "Vedi Luca, il tuo bisogno di cercare continuamente, di cambiare non appena la novità non è più una novità, di non sentirti mai soddisfatto, di interrompere la relazione nel momento in cui potrebbe diventare importante, rivela un uomo in cerca di conferme e mostra una cosa: insicurezza. Sei attratto dalla parte femminile dell'io, quella che non potrai mai avere. Ma non è così che troverai quella tessera". 
    "E cosa devo fare secondo te?" 
    "Devi trovare te stesso, il tuo "io". Un lavoro non da poco, ma è l'unica soluzione al tuo problema. Quando riuscirai a stare bene con te stesso troverai quel tassello".
    Luca è rimasto folgorato dalle parole dell'amico. Quella sera, rientrato in casa, si dirige deciso verso la scrivania dello studio. Con un movimento rapido, senza ripensamenti, fa scivolare tutte le tessere del puzzle dentro la scatola e la ripone in un cassetto. Il gioco è finito: l'adolescente deve cedere il passo all'uomo. 
     
     
                                            







  • 16.09.2013 19:10

    L'attesa

    Il coraggio dell'attesa. Sì, ci vuole un gran coraggio nell'attendere. Dovrebbero insegnarcelo fin da bambini: saper aspettare con forza d'animo e distacco. Forse le donne sanno sopportare un po' meglio le attese. E' una loro attitudine naturale fin dai tempi più remoti. Si definisce "donna in dolce attesa" colei che metterà al mondo un bambino. Non per niente la parola "attesa" è di genere femminile. Ma non voglio cadere in una definizione sessista, dipende sempre dal tipo di attese e dal carattere personale.Tutta la vita è attesa, dal primo vagito all'ultimo respiro. Attendiamo il sorgere del sole e il calare della notte, l'alternarsi delle stagioni o più semplicemente l'attraversamento sulle strisce pedonali quando scatta il verde.

     

    Una miriade di situazioni più o meno stressanti, tante quante sconfinate sono le attese. Viviamo costantemente tesi sul filo dell'attesa. Quello che ci frega sono le aspettative, non dovremmo averne mai. Un suo sinonimo dovrebbe essere la parola: pazienza. Difficile metterla in pratica in un mondo come il nostro dove si pretende tutto e subito. E' così complicato capire che il risultato di gioia per un'attesa è l'attesa stessa soprattutto se riguarda la sfera dei sentimenti e del sesso? Parrebbe proprio di sì, guardandoci attorno.

     

    Se penso alle attese immagino me stessa seduta al tavolo di un ristorante in "attesa" delle diverse portate. Hanno svariati sapori, sanno di buono oppure no. Possono lasciare l'amaro in bocca o riempirtela di zuccero. Il sapore più o meno gradevole dipende dal risultato. Alcune devono necessariamente avere una scadenza limitata come un vasetto di yogurt per poter essere sopportabili e digeribili. Se poi capita di dover sostenere un'attesa con l'incognita x che si dimostra infinita e più aspetti e più il suo sapore si fa aspro come quello di un limone, allora, meglio non aspettare più.
       
        

              







     

  • 14.09.2013 21:57

    Lanterne luminose

     

     Le persone sono come lanterne, una fiamma all'interno.
     
    Una fiamma arde e riflette nel buio ombre sui muri.
     
    Più la fiamma brucia, più le ombre si fanno giganti come i desideri, i sogni, le speranze, le passioni.
     
    Una fiamma che illumina il cammino delle nostre anime.
     
    Quando la fiamma diventa flebile non abbattiamoci.
     
     Guardiamo in fondo ai nostri cuori per accenderla nuovamente e ravvivarla:
     credendo, sperando, amando, la fiamma arderà per sempre . 






  • 11.09.2013 18:48

    Chi sono io?

    Bella domanda. Vorrei scoprirlo prima che sia troppo tardi.
    Forse ce la farò, chissà.
    Amante del verde e degli animali.
    Il mio mito è Snoopy.
    Detesto il caos.
    Bilancia sempre in cerca di equilibrio tra corpo e mente.
    Una sensibilità con l'amplificatore.
    Lunatica q.b. .
    Una passione per il cioccolato extrafondente.
    La vita in Blues/Rock.
    Se a voi non dispiace mi siedo all'ultimo banco, grazie.

                                   

     
     
     

  • 10.09.2013 17:49

    Iperfobia

                                                                   

    La mia fobia, anzi, iperfobia, si chiama centro commerciale.  Com'è possibile recarsi con tutta la famiglia, bambini urlanti compresi, a passeggiare di domenica al centro commerciale.
    Ho visto più macchine parcheggiate lì, nel weekend estivo, che nelle località turistiche, mare o montagna che siano. "Su bambini, andiamo al cetro commerciale. Fa fresco lì (condizionatore), c'è una bella luce lì (elettrica), compriamo specialità gastronomiche lì (surgelate)".

     

    E loro vanno, gli ingenui. La trappola è scattata e non c'è nulla da fare se non augurarsi una ribellione di massa a questo stato di cose. Surrogati di città dove non manca niente: cinema, ristorante, edicola, farmacia ecc. , con uno slogan invisibile: "Noi siamo quello che consumiamo". 

     

    Come ha scritto uno famoso: non luoghi senza identità, senza storia. Ma di questo passo ci arriveremo a far studiare nelle scuole la storia dei centri commerciali e magari discuterci anche una tesi di laurea.

     

    Come distruggere la fantasia in poche mosse, basta portare i bambini a giocare al centro commerciale e la cosa è fatta. Ché poi non siete più persone quando entrate lì, vi chiamate consumatori. La parola d'ordine è "consumismo" e io la odio.







     
     

  • 09.09.2013 22:34

    Tutti dì corsa

                                                 

    - Dove corri, fermati un attimo.
     
    - Non posso, se mi fermo non ce la farò.
     
    - A fare cosa.
     
    - Ad arrivare.
     
    - Arrivare dove?
     
    - Alla fine del mio traguardo.
     
    - Se corri troppo rischi di cadere prima. 
     
    - Ma io corro insieme a te. Per noi. 
     
    - No. Non vedi che sono dietro di te.
     
    - Affretta il passo, allora.
     
    - Rallenta tu, il tuo. Non voglio correrti dietro, ma camminare al tuo fianco.
     
    - Non posso rallentare proprio ora. Come quel proverbio "chi si ferma è perduto". 
     
    - Così ti perderai il meglio. Finirai per non vedere nulla.
     
    - Il meglio di cosa?
     
    - Del durante. Tutto ciò che sta tra l'inizio e la fine. 






     

  • 07.09.2013 23:49

    Una tazza per amica

                                                                         

    - Buondì, tesoro. 
     
    - Buongiorno, caro. 
     
    - Cosa stai facendo, parli con la tazza del tè? 
     
    - Sì. Abbiamo molti segreti, noi due. 
     
    - Ma cosa dici, hai bevuto? 
     
    - No, tesoro, sono lucidissima. Non ho ancora sorseggiato neppure il mio tè. 
     
    - E allora non afferro. 
     
    - E' più semplice di quanto credi. La mia tazza da tè ha un'anima. Tutte le cose ce l'hanno, come sostengono i giapponesi. Lei ascolta i miei pensieri ogni mattina mentre faccio colazione. E' una conversazione telepatica nel silenzio della cucina. Ascolta e mi consiglia in maniera misurata. E' ormai una cara amica "i care" e cerco di curarla, di avere attenzione nei suoi riguardi. Non voglio che si rompa. 
     
    - Una tazza è una tazza e basta. Se si rompe, si sostituisce. 
     
    - Il solito superficiale. 
     
    - Stamani proprio non ti capisco, cara. 
     
    - La mia tazza, invece, mi capisce sempre.







     
     

  • 06.09.2013 22:49

    Quella medicina chiamata"ironia"

     

    "Scusi, ne vorrei una scatola maxi, per oggi dovrebbe bastare, grazie. Me la incarti bene, mi raccomamdo e la metta in una busta, non vorrei perderla per strada".
    Di cosa sto parlando? IroniaDella migliore in commercio, ovviamente.
     
    Poter vivere di ironia da mattina a sera, ubriacarsi d'ironia, prendere la vita euforicamente sempre con ironia. Cibarsene a cucchiaiate come fosse nutella, un barattolo dietro l'altro, senza mai sentirsene sazi.
    Dimenticare la pesantezza della vita tuffandosi e sprofondando in un oceano di ironia sino a sentirsi leggeri in uno stato di grazia, sino a sentirsi liberi da preconcetti e luoghi comuni.
    Un anestetico per soffrire il meno possibile e poter così guardare in faccia la vita strizzandole ironicamente l'occhio. Ridere e sorridere soprattutto di sé stessi.
     
    Ci vorrebbe una medicina chiamata "ironia". Che grande cosa sarebbe se potessero farne uso tutti, un bel modo per guarire  da opportunismo, superficialità, ottusità. Malattie difficilmente curabili con le innumerevoli, multiformi e variegate pastiglie in commercio.
     
    Se esistesse tale medicina sarei disposta a spendere una cifra per regalarla a tutti.Una medicina speciale per affrontare l'esistenza con leggerezza, prenderla in giro senza che se ne accorga  e fregarla. Si dice spesso che la libertà comincia dall'ironia, in tal caso, potremmo finalmente dichiarare di vivere in un mondo libero.

     

    Lo so sto sognando, mi sto illudendo. Forse avevano ragione i latini che la definivano "illusio" e poi l'ironia non si compra.
     

          







  • 04.09.2013 17:03

    Anima e corpo.

     
     
    La sensazione di cadere mentre si dorme.

    L'anima, curiosa, esce dal corpo: osserva attentamente ciò che la circonda, vuole sapere cosa succede  fuori dalla sua dimensione.

    E' incredula, quello che vede la disorienta, quello che sente è un suono assordante e stonato. La invade improvvisamente un'enorme stanchezza, come se tutti i mali del mondo gravassero sulle sue spalle.

     

    "Prima di rendermi  conto personalmente della realtà mi stavi anche simpatico, caro corpo. Sei stato divertente. Ho riso con te nei tuoi momenti felici e ho sofferto con te se le cose non ti giravano per il verso giusto. Quando non condividevo la tua ossessiva  ricerca delle cose materiali  ti ho soffiato in un orecchio. In fin dei conti io sono alito di vento, un soffio leggero (ànemos). E tu mi hai ascoltato, a volte. Solo ora però, mi è chiaro quanto siamo eternamente distanti".
     

     

    Libertà, pace, armonia, comprensione dove sono?
    Sgrana gli occhi, scuote la testa ed esclama: "Mah...meglio rientrare velocemente senza far rumore, se la veda il corpo con questo mondo, ci pensi lui, se riesce a cavarsela. Fin che potrò me ne starò in pace, anzi, starò in pace prima e dopo. E mi lasci in pace anche la coscienza. Non è vigliaccheria, la mia, ma coerenza". 
    Il corpo ignaro riposa. Deve recuperere le energie per ripartire ogni giorno e combattere la battaglia della vita.







  • 04.09.2013 15:21

    Unidiversi paralleli

    Un uomo.
    Una donna.

     

     

     

  • 03.09.2013 21:40

    La prima delusione

     
    No, non si tratta di una delusione d'amore, ero una bimba di tre anni felice, avvolta dall'amore di babbo e mamma. I bambini di quell'età non hanno la consapevolezza della morte, della vita con un inizio e una fine. Sono ingenuamente beati e pensano, perchè pensano, lo posso giurare, che tutto quello che li circonda rimarrà indeformabile nel tempo, perennemente inalterato. Non li sfiora minimamente la fine del mondo.

    Ad una certa ora del pomeriggio, sempre la stessa, dopo la merenda pane, burro e marmellata, la mia preferita, andavo sul terrazzo di casa a giocare e aspettavo. Cosa direte voi? Un rumore potentissimo, ormai quasi familiare che sempre, ma proprio sempre, anche quando diluviava anche quando la mia mamma mi rincorreva con il battipanni, ma anche con il mestolo, dipendeva da come l'avevo combinata grossa, mi giungeva all'udito. Pareva un rombo di tuono.

    Io, piccola bimba, ho iniziato a pensare cosa potesse essere e mi sono data la spiegazione che fosse Dio, artefice della  messa in moto della macchina del mondo. Un motore per avviare gli ingranaggi della vita. Anzi per dirla tutta non è che pensassi proprio a Dio ma a figure sovrannaturali non meglio identificate che avevano tale potere.

    Questo pensiero mi dava gioia, mi rasserenava, ero felice di come stavo, soddisfatta della mia vita. Amavo le mie bambole scarabocchiate magistralmente da me con la penna biro, il cappellino di velluto rosa, la scatola di gessetti colorati e persino le formiche che ogni tanto invadevano il terrazzo.

    Mi piaceva l'idea che tutto scorresse sempre in eterno così, grazie ad entità magicamente invisibili che si trovavano in cielo, al di sopra di quelle nuvole che prendevano mille forme nella mia fantasia di bambina.

    Uno sventurato giorno mi venne la malaugurata idea di chiedere: "Mammina cos'è questo rumore, il motore della vita, vero?"
    Ebbi subito la risposta: "No Lallina, è il rumore del motore degli aerei che i piloti accendono  prima di volare in cielo, all'aereoporto qui vicino".
     

                         









                          

  • 03.09.2013 21:19

    Il palloncino


                         

    ll palloncino scivola dalla mano del bambino, vola in cielo leggero, osserva dall'alto le cose, la gente, non gli importa niente. 
     
    Divertito, per nulla smarrito.
     
    Vola su sospinto dal vento, guarda in giù, tutto sembra più lento.
     
    Chi dice povero il bambino, chi povero il palloncino. Nessuno sa che un tacito accordo c'è.
     
    Palloncino e bambino si guardano. Lontani, ormai.

    Il bambino gli ha donato la libertà. Vuol sapere sopra le nubi cosa ci sta.








     

  • 03.09.2013 16:07

    Il rumore del silenzio

                                                                             

    A volte è indispensabile, quasi vitale, starsene ad ascoltare il rumore che fa il silenzio.

    Penso in silenzio e non sono sola, mi sento in buona compagnia. Secondo il pensiero di quel momento diventa armoniosa colonna sonora nella mia testa, oppure voce interiore che mi parla come un amico sincero che mi vuole bene.
    Un compagno discreto, che consiglia senza essere invadente.

    In silenzio rielaboro i pensieri che si fanno più chiari. La nebbia dei ricordi si dissolve e tornano alla mente nitidi, esattamente come li ho vissuti una vita fa. Prepotenti emozioni sopite si risvegliano e divampano nella parte più intima del mio cuore.
    Pensavo dimenticate per sempre.
    Ecco invece, nel silenzio della stanza irrompono fragorose provocando un rumore assordante nel profondo dell'anima .





     
     

  • 03.09.2013 13:02

    Gioco di specchi

    Marta apre gli occhi. E' mattina e come al solito vorrebbe sprofondare di nuovo in un lungo sonno. Il solo pensiero di alzarsi le provoca ansia, il solo pensiero di mettere i piedi per terra le dà la nausea. Sente addosso una stanchezza da toglierle il fiato. Vorrebbe trovarsi in una tana come quella di qualche animale, un orso per esempio, ma anche uno scoiattolo nel tronco cavo di un albero. Un buco caldo e eccogliente nascosto da tutto e da tutti dove possa stare in pace con i suoi pensieri e non fare assolutamente nulla, solo vegetare. Sentirsi un tutt'uno con la terra, i sassi, le foglie, una goccia d'acqua che evapora al sole o sciame di vento invisibile. In poche parole vorrebbe scomparire agli occhi del mondo. 
    Ma non può. Deve fare forza su sé stessa. Mettere quei maledetti piedi per terra nelle calde pantofole azzurro cielo e cominciare la sua giornata.
    Si prepara rapidamente: jeans e felpa bianca, le basta poco, lei ama la semplicità. Un caffè al volo ed è fuori, il lavoro l'aspetta. La solita giornata frenetica, colleghi distrattamente gentili presi dai problemi di tutti i giorni non vedono l'ora di finire il loro turno lì, in ospedale. Il compito di Marta è strumentista. Assistente in sala operatoria, passa gli strumenti di lavoro ai medici chirurghi durante gli interventi. Il suo lavoro è l'unica cosa che le piace della sua  vita. Il fatto di rendersi utile per gli altri è ciò che le dà la forza di uscire dal suo guscio ogni santa mattina. 
    Finalmente dopo una corsa veloce al supermercato per la solita scorta di cioccolato extrafondente del quale è ghiottissima, una di quelle piccole gioie che riescono ad addolcirle alcuni momenti down, è di nuovo a casa, il suo rifugio. No, la solitudine non le pesa, è un animale solitario. Le piace pensare da sola, decidere delle sue cose da sola. Nonostante questo vorrebbe scomparire. Sente che manca qualcosa, forse la gioia di una famiglia? Non sa. Sta di fatto che dopo il trauma per la separazione dei suoi genitori, quando era poco più che adolescente, ha iniziato a soffrire di quello che è meglio conosciuto come "Il male di vivere". Non ne parla volentieri perchè la maggior parte delle persone pensa che tale stato sia sintomo di disagio psicologico. Cioè, ti danno del matto così, superficialmente, senza tanti complimenti. Ma lei non è matta. Forse si trova in tale condizione perchè al contrario, ragiona fin troppo bene e vede la realtà esattamente com'è senza filtri e non è un bel vedere proprio per niente.
    Marta, quando sta sola in casa e sente tornare quel malessere che la spingerebbe ad andare a letto e a restarci per tutto il giorno anche senza toccare cibo, fa un gioco innocente di fantasia.
    E' la consapevolezza  di essere sola che la spinge a farlo. Intuisce che se si lasciasse andare completamente potrebbe scivolare verso un non ritorno e perdersi per sempre.
    Il gioco in questione nasce nella sua infanzia, allora serena con papà e mamma, dai lunghi pomeriggi invernali della domenica seduta davanti alla tv a guardare i cartoni animati della Disney. La sua fervida immaginazione spaziava a 360 gradi. In particolar modo era stata colpita da un cartone animato dove il personaggio entrava in un mondo trasversale a quello reale. Un mondo che si trovava al di là di uno specchio situato in una camera da letto. Marta era sempre stata affascinata da quel materiale: il vetro, il cristallo. Ne aveva trovato un piccolo pezzo nel cortile di casa. Sembrava un sasso multisfaccettato e smussato dagli agenti atmosferici, ma con la particolarità di brillare alla luce del sole e questo l'aveva attirata. Guardandoci attraverso il suo piccolo occhio era stato inondato da un fascio di luce di mille colori. Sembrava che in quel pezzo di cristallo ci fosse racchiuso l'arcobaleno. Lo aveva messo in tasca e custodito gelosamente. Nessuno sapeva di quell'oggetto. Dopo averlo riposto con cura all'interno di una piccola scatola, lo aveva nascosto nell'angolo più profondo e buio del suo armadio. Lo tirava fuori quando si sentiva triste e sognava guardando tutti quei colori, scrutava il mondo attraverso quelle iridescenze e le sembrava più bello. 
    Marta bambina non amava giocare con le bambole. Le parevano esattamente quello che sono, dei pezzi di plastica inanimati, freddi, inespressivi e preferiva far volare la sua fantasia in altri modi, per esempio lo specchio. Una volta cresciuta era diventato un po' la sua personalissima cura al male di vivere del quale soffriva. 
    Con gesti precisi, quasi rituali, Marta si posiziona di fronte allo specchio dell'enorme armadio quattro stagioni nella sua camera da letto e comincia a fissarlo concentrandosi su ciò che vede al di là delle immagini riflesse. La stanza è sempre quella, ma non sembra più la stessa. Immagina di entrare attraverso lo specchio, lo trapassa  tutto immergendosi magicamente in un altro mondo, in un'altra vita e fantastica su quella visione. Sembra migliore quel mondo: pieno di luce, caldo come un raggio di sole, più accogliente, più colorato, più puro e per un momento, giusto il tempo che dura il gioco di specchi, vede anche sé stessa migliore.Tutto le sembra perfetto e per un attimo, solo un attimo, Marta è felice.






     

  • 03.09.2013 12:22

    Re-cordis

                                            

                                                                 

    Il ricordo non muore. Un colore, un odore, un sapore, una parola, un gesto, una musica, un oggetto e il ricordo esplode dentro in milioni di pezzi. Vivo più che mai.
    Lo sento addosso con la stessa intensità di come lo avevo vissuto.

    Ne percepisco le sfumature e persino i minimi dettagli, quelli che credevo aver dimenticati per sempre e invece no.
    Sta lì, nascosto nei meandri del mio cervello, nelle vene del mio cuore pronto ad uscire fuori quando meno me lo aspetto come un fulmine folgorante mi colpisce.

    E' un pugno allo stomaco se di quelli che fanno male. E' una carezza al cuore o calde lacrime sulla pelle se bello.
    Mi rendo conto che il ricordo è quello che di più vitale ci portiamo dietro. Riesco a coglierne anche il battito vibrante.
    Non si vede se non con gli occhi della mente, non si tocca se non con le mani dell'anima. Immateriale, ma anche infinitamente reale e concreto tanto che se il ricordo è doloroso provo lo stesso spasmo forte, lancinante, senza sconti. Se di gioia, mi arriva la stessa sensazione di euforia e dolcezza e passione e felicità.

    Il cervello "questo sconosciuto" ha un potere immenso su di noi. Il razionale è un aspetto, forse il più semplice, la punta dell'iceberg. La parte inconscia e irrazionale è un abisso senza confini del quale il ricordo fa parte.

    Non si uccidono i ricordi, non si soffocano. Ci si può provare con quelli più spiacevoli, ma è ormai chiaro a tutti che tornano sempre come onde irrequiete in un mare in tempesta. Sembrano appartenere al nulla, ma un nulla così grande da risultare indistruttibile. La soluzione è imparare a conviverci.

    Non si cancellano i ricordi. Non esiste gomma da cancellare così potente.
    L'aspetto positivo è il ricordo degli affetti a noi più cari.
    E' un modo per incontrarsi anche se le distanze sono eternamente irraggiungibili. 
    Se c'è un sistema per far vivere per sempre cose, persone e situazioni passate, questo è il ricordo.

    Ricordare: dal latino re-cordis, ripassare dalle parti del cuore.





     

  • 03.09.2013 12:02

    Effimero fiocco di neve

                        

    Cos'è un fiocco di neve, semplicemente H2O, acqua. Un cristallo liquido che ghiacciando forma il cristallo di neve.
    E' affascinante la neve. Se nella giusta misura, se non crea disagi, tutto si fa magico. Il paesaggio si incanta, diventa poesia leggera. Un abito bianco scintillante riveste ogni cosa. Avvolge in un candido abbraccio le strade, gli edifici, la natura. Con il suo silenzio ovattato sembra attutire ogni realtà. Un bianco che abbaglia e illumina anche il nero della notte. Una visione da favola che ci fa tornare bambini, si sogna.

    Il fiocco di neve è speciale ha una personalità. Non esiste un cristallo uguale ad un altro e se si prova a scongelarne uno a caso, ricongelandolo riassumerà esattamente la forma che aveva. Insomma i fiocchi di neve sono vivi, hanno memoria, incredibile!

    Come è possibile che la neve abbia un'anima. Eppure parrebbe così. Se pur fredda all'apparenza riesce a proteggere e riscaldare ugualmente. Gli animali e i piccoli semi che germoglieranno a primavera spuntando da sotto quella calda coperta lo sanno benissimo.
    Se esiste, anche il fiocco di neve deve avere il suo scopo nella vita, no?
    Per non parlare dell'aspetto sentimentale della faccenda. Vuoi mettere una casa calda, accogliente, un caminetto acceso, la neve che scende e una coppia che si ama? Un quadretto veramente romantico e in tutto questo la neve sa di avere un posto di rilievo: contribuisce a riscaldare ancor più quei cuori.

    Fin qui tutto giusto. Ma c'è sempre un "ma" in tutte le situazioni: la precarietà della neve.
    L'essere un fenomeno che scompare non appena le condizioni del tempo le sono avverse. Anche se è un bene che si sciolga velocemente quando è troppa, mi sento di asserire che sembra fatta della stessa impalpabile consistenza dei sogni: sembrano veri certi sogni, ti pare quasi di toccarli, ma quando ti svegli rimangono solo ricordi se hai la fortuna di ricordare, altrimenti rimane nulla.
    Eh sì, mai affezionarsi ad un fiocco di neve.
     
     
     

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